Nonostante siano passati più di 35 anni, dall’inizio dell’epidemia, l’infezione da HIV rappresenta ancora un problema di salute pubblica. Nel mondo sono 36,7 milioni le persone sieropositive e nel 2015 sono state registrate oltre 2 milioni di nuove diagnosi, di cui circa 30.000 in Europa. Nel contesto europeo l’Italia, si posiziona al 13° posto, con un’incidenza pari a 5,7 nuovi casi su 100.000 abitanti. Il trend è il leggera diminuzione a livello nazionale, ma i numeri sono ancora significativi e dimostrano che è necessario implementare gli sforzi per prevenirne la diffusione. Le politiche di prevenzione applicate in tutti i paesi tengono in considerazione l’ obiettivo “90-90-90” fissato da UNAIDS (Programma Nazioni Unite per HIV/AIDS) per il 2020, che prevede di diagnosticare il 90% delle infezioni, di trattare il 90% dei casi diagnosticati e di arrivare a livelli di viremia (virus nel sangue) pari a zero nel 90% dei trattati. E’ infatti ormai chiarito dalle evidenze scientifiche che il trattamento antiretrovirale rappresenta non solo un grande beneficio per il singolo paziente, ma anche per la salute pubblica, perché la negativizzazione del virus nel sangue riduce drasticamente il rischio di trasmettere l’infezione.
A Verona, presso il Distretto 1 dell’Azienda ULSS 9 Scaligera in via Campania, è possibile accedere liberamente (senza impegnativa ) all’ambulatorio del “Centro per le Malattie Diffusive” per la diagnosi e la cura delle Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST), compresa l’infezione da HIV. L’attività di prevenzione del Centro, per tutta la popolazione interessata, si attua mediante un colloquio di counselling, orientato al mantenimento o all’implementazione di comportamenti sessuali protettivi, all’eventuale prelievo di sangue per la diagnosi precoce e l’eventuale cura delle IST, aualora riscontrate, per prevenirne la diffusione. Presso il Centro sono attualmente seguiti più di 600 pazienti con infezione da HIV, che ricevono la terapia antiretrovirale e i trattamenti delle eventuali infezioni concomitanti, come i virus epatitici. I progressi farmacologici recenti infatti, hanno reso possibile eradicare nella quasi totalità dei casi il virus dell’epatite cronica C, con i trattamenti antivirali di nuova generazione, anche nei pazienti HIV-positivi .
Praticamente tutti i pazienti seguiti presso il Centro sono in terapia e tra questi il 93% mantiene una viremia plasmatica non rilevabile. Le nuove terapie disponibili oggi sono sicure, ben tollerate ed efficaci, e hanno permesso di raggiungere nella nostra realtà locale gli obiettivi UNAIDS sopracitati e di superarli ancor prima del 2020. Tuttavia, come già evidenziato, a livello nazionale ed internazionale, le nuove diagnosi non si sono fermate, e sono presenti ogni anno in numero costante. Nel 2017 sono stati 16 i nuovi sieropositivi presi in carico presso i nostri ambulatori. Le nuove diagnosi interessano soprattutto la popolazione MSM ( Maschi che fanno Sesso con Maschi) e la popolazione immigrata da paesi endemici. Tuttavia, anche la quota femminile non è trascurabile: in Europa, nel 2015 si sono registrati da 2 a 10 nuovi casi di infezione da HIV per 100.000 donne, con età sensibilmente inferiori rispetto ai maschi e prevalentemente dovute a comportamento sessuale eterosessuale a rischio. I dati riguardanti le nuove infezioni nel genere femminile in Italia dimostrano come spesso tali pazienti giungono più tardivamente alla diagnosi, anche perché difficilmente vengono considerate a rischio di contrarre l’infezione. Il quadro cambia se le pazienti scoprono di essere sieropositive in occasione di una gravidanza, dove il test HIV fa parte degli esami obbligatori prima del parto. In questo caso, un precoce inizio della terapia antiretrovirale rappresenta uno strumento eccellente ed imprescindibile per il controllo dell’infezione nella madre e la prevenzione della trasmissione del virus al feto. Negli ultimi anni, infatti, nessun neonato da madre sieropositiva, seguita presso il Centro Malattie Diffusive, ha acquisito l’infezione per via verticale. Tale successo è frutto di un appropriata terapia e di un counselling a sostegno dell’aderenza, oltre alla collaborazione multidisciplinare con l’UOC di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di San Bonifacio.
Ad oggi, la popolazione MSM rimane quella più rappresentata nella nostra casistica. L’età di questa popolazione è ampiamente distribuita, dimostrando che, se da una parte la popolazione dei pazienti sieropositivi sta invecchiando grazie ad un’ottima qualità di vita garantita dalla terapia antiretrovirale, dall’altra sono molti i giovani sotto i 30 anni che acquisiscono l’infezione tramite il comportamento sessuale (
figura 1). Si stima inoltre che circa il 60% dei pazienti in quest’ultima fascia di età non abbia accesso al testing, restando senza una diagnosi e dunque senza trattamento, con conseguente alto rischio di trasmettere il virus. Questo dato è legato anche alla carenza di efficaci programmi di prevenzione, per una società in continuo cambiamento. In particolare, vanno riconosciuti i cambiamenti di comportamento sessuale nelle nuove generazioni, facilitati dall’uso delle nuove app tecnologiche per incontri a scopo sessuale e dall’uso di sostanze a scopo ricreativo, dette “chemsex”. L’offerta diagnostica e terapeutica deve necessariamente tenere conto del contesto sociale, modificando le strategie o implementando quelle già presenti. A tal proposito, la nostra Unità Operativa collabora attivamente con l’UOC di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, partecipando ad un progetto di ricerca coordinato dall’OMS, per la validazione dei test rapidi sierologici per HIV e sifilide. Questi test potrebbero diventare un valido strumento di diagnosi precoce e più fruibile per la popolazione, anche giovane. Inoltre, è in fase di progettazione uno studio, presentato dai medici del Centro ad un bando di concorso scientifico nazionale, che ha ottenuto un premio per la sua realizzazione, per valutare la prevalenza dell’uso di chemsex nella popolazione MSM a Verona. L’uso di chemsex sta sollevando una crescente preoccupazione a livello europeo, per il suo rapido incremento e l’evidente correlazione con la trasmissione di IST dovuto ad un comportamento sessuale più disinibito e meno prudente. Tali fenomeni vanno riconosciuti e conosciuti anche dal punto di vista epidemiologico locale, per indirizzare le più idonee misure di prevenzione e di educazione della popolazione interessata. Va segnalato infine che attualmente è possibile prescrivere una profilassi farmacologica antivirale da assumere per evitare il rischio di infezione da HIV (PreP), mediante rapporti sessuali promiscui e non protetti, previa discussione con l’infettivologo alla luce della valutazione rischio/beneficio caso per caso. Non va dimenticato che il rischio correlato al comportamento sessuale riguarda non solo l’infezione da HIV, ma anche altre patologie, come sifilide ed epatiti virali, com’è stato recentemente evidenziato in un microfocolaio locale di epatite A trasmessa sessualmente.
L’offerta attiva del testing per le IST è pertanto uno strumento fondamentale, ed un’occasione unica per informare e formare il paziente, orientandolo ad un comportamento sessuale consapevole. Presso il nostro centro, nel 2017 (dati aggiornati al 22 novembre), hanno avuto accesso all’ambulatorio di Testing 367 pazienti, che hanno avuto la possibilità di effettuare un prelievo venoso per la ricerca di eventuali IST, ed eventualmente di ricevere un adeguato trattamento. L’età dei pazienti che si sono rivolti a tale ambulatorio, suddivisa per sesso, è rappresentata nella
figura 2. Nel 2017, abbiamo osservato un trend in diminuzione rispetto agli anni precedenti per quanto riguarda le nuove diagnosi di HIV tra i pazienti che hanno eseguito il prelievo presso la questa sede (
figura 3). Questo potrebbe incoraggiare i sanitari nella prosecuzione dell’attività di monitoraggio e counselling, alla luce anche del fatto che i pazienti riscontrati positivi sono stati tutti diagnosticati in fase precoce o addirittura in corso di infezione acuta. Tale dato è importantissimo, dato che una diagnosi precoce influenza positivamente non solo la storia del singolo paziente ma anche il contenimento della diffusione dell’infezione. Allo stesso tempo, però, a questo dato confortante si associa una sottovalutazione del rischio di acquisire infezioni diverse da quella dell’HIV, come mostra il fatto che invece i casi di sifilide sono rimasti stabilmente alti, con casi sia di prime infezioni che seconde e terze re-infezioni.
La chiave di un corretto approccio nei confronti dell’infezione da HIV risiede sia nell’informazione della popolazione generale che nella formazione del personale medico, a partire dal territorio, con il duplice scopo di abbattere lo stigma, ancora ingiustificatamente presente a danno dei pazienti sieropositivi, e di far emergere il sommerso dei sieropositivi non ancora noti, che attualmente risultano essere le cause maggiori di nuovi contagi. Il test HIV, pertanto, dovrebbe essere considerato in tutti i soggetti sessualmente attivi.
La paura riguardo al fenomeno descritto, sebbene non abbia motivo di sussistere è ancora presente e genera stigma nei confronti delle persone sieropositive e nei confronti dell’approccio al testing. Una persona sieropositiva, se curata, oltre a non trasmettere l’infezione, vive tanto quanto una persona di pari sesso ed età senza infezione. L’abbattimento di questo muro rappresenta oggi la sfida per cui siamo tutti chiamati in causa.
Figura 1: età alla diagnosi di infezione da HIV, anno 2017
Figura 2: età dei pazienti con accesso all’ambulatorio di testing nel 2017, suddivisi per genere
Figura 3: trend di nuove diagnosi presso l’ambulatorio di testing AULSS9 Scaligera